Premetto che fare ordine di quel che è successo questa sera qua a Rio è un compito arduo al momento. Da subito mi scuso perchè non riuscirò a raccontarvi in queste righe la mia avventura in maniera chiara e ordinata. Non so da dove partire e forse, senza troppi giri di parole, la cosa migliore è andare dritti ai fatti. Le parole abbelliscono e caricano di significato i momenti rilevanti della nostra vita, ma rimango dell'idea che alcune cose non si possono raccontare, alcuni attimi sono da vivere. Mai avrei pensato di trovarmi qua a scrivervi di quanto successo poche ore fa all'Olympic Stadium di Rio de Janeiro.
Sono arrivato allo stadio verso le 17, mezz'ora prima rispetto all'orario di inizio del servizio. Entrando nei locali interni dell'impianto vidi uno dei coordinatori in difficoltà mentre provava a trasportare due maestosi ritti per il salto in alto. Non ci ho pensato due volte a chiederli se aveva bisogno di una mano e in pochi secondi mi ritrovai, in compagnia del ritto, nella pista dello stadio. Ho colto l'occasione per fare due passi a destra e sinistra del campo per realizzare dove mi trovavo (qui il video del tour all'Olympic Stadium!).
Sembravano esser passati circa venti, al massimo trenta minuti ma un messaggio della mia "collega" Vivi mi ha fatto realizzare che ero in ritardo di un oretta abbondante. In ogni caso arrivato al punto di ritrovo, zona call room, ci sono state date alcune informazioni sulla divisione delle mansioni e dei gruppi. Iniziano le gare e la call room, la zona in cui gli atleti attendono l'ingresso in campo, inizia a popolarsi di saltatori in alto e tripliste. Poi è il turno delle semifinali dei 400m donne: Allyson Felix per farvi un nome. E ancora le semifinali dei 100m uomini con il passaggio, in rigorsa fila indiana, degli uomini più veloci del pianeta (Bolt, De Grasse, Blake, Vicaut, Gatlin) pronti a battersi per una corsia nella finalissima. In tutto ciò ero li impaziente di essere chiamato per operare nella pista, ma il mio turno sembrava non arrivare mai tanto che la coordinatrice ci ha consigliato di fare una pausa e tornare entro mezz'ora. Tempo di sbirciare due salti di qualificazione dell'alto uomini e via nuovamente ai posti di combattimento.
Verso le 21:45, ho realizzato di essere al posto giusto, al momento giusto. Siamo stati chiamati in sei per entrare in campo e svolgere un semplice compito: posizionare le piramidi segna corsie. Fin qua non vedevo nulla di difficile fino a quando abbiamo capito che dovevamo entrare in campo per la finale dei 100 metri! Si quella di Bolt & Co, la gara per cui il mondo si da appuntamento ogni quattro anni per poco meno di dieci secondi al cardiopalma.
Allo sparo della finale dei 400m entriamo in campo in fila indiana per recarci alla partenza dei 100m. Siamo in sei: io, Vivi dalla Germania, John dal Belgio, Dean dal Canada, Carolina dal Brasile e Edin dalla Bulgaria. Nemmeno il tempo di fare pochi passi e assistiamo all'impresa del sudafricano Van Niekerk che decide bene di corre il giro di pista più veloce della storia e polverizzare il record del mondo. Nel mentre dalla pedana del triplo i tifosi colombiani colonizzano la tribuna accompagnando all'oro Caterine Ibarguen (15.17m).
Arrivati alla partenza, posizioniamo le piramidi numerate dalla 2 alla 9. Ho preso la piramide della corsia sei, ma non sapevo sarebbe stata quella di Usain. Una volta fatto ciò ci sediamo accanto alla partenza: siamo a circa dieci metri dai blocchi, non di più. La presentazione degli atleti, il boato dei 60 e più mila spettatori e poi cala il silenzio. Lo sparo e si accendono le danze rapide e potenti degli uomini più veloci della Terra. Uno però tra loro è velocissimo e decide così di vincere il terzo oro consecutivo ad un Olimpiade: Usain Bolt. Il resto non conta. Questa volta il jamaicano è passato anche davanti a noi volontari a circa due, forse tre metri di distanza.
Un brivido infinito.
Sono arrivato allo stadio verso le 17, mezz'ora prima rispetto all'orario di inizio del servizio. Entrando nei locali interni dell'impianto vidi uno dei coordinatori in difficoltà mentre provava a trasportare due maestosi ritti per il salto in alto. Non ci ho pensato due volte a chiederli se aveva bisogno di una mano e in pochi secondi mi ritrovai, in compagnia del ritto, nella pista dello stadio. Ho colto l'occasione per fare due passi a destra e sinistra del campo per realizzare dove mi trovavo (qui il video del tour all'Olympic Stadium!).
Sembravano esser passati circa venti, al massimo trenta minuti ma un messaggio della mia "collega" Vivi mi ha fatto realizzare che ero in ritardo di un oretta abbondante. In ogni caso arrivato al punto di ritrovo, zona call room, ci sono state date alcune informazioni sulla divisione delle mansioni e dei gruppi. Iniziano le gare e la call room, la zona in cui gli atleti attendono l'ingresso in campo, inizia a popolarsi di saltatori in alto e tripliste. Poi è il turno delle semifinali dei 400m donne: Allyson Felix per farvi un nome. E ancora le semifinali dei 100m uomini con il passaggio, in rigorsa fila indiana, degli uomini più veloci del pianeta (Bolt, De Grasse, Blake, Vicaut, Gatlin) pronti a battersi per una corsia nella finalissima. In tutto ciò ero li impaziente di essere chiamato per operare nella pista, ma il mio turno sembrava non arrivare mai tanto che la coordinatrice ci ha consigliato di fare una pausa e tornare entro mezz'ora. Tempo di sbirciare due salti di qualificazione dell'alto uomini e via nuovamente ai posti di combattimento.
Verso le 21:45, ho realizzato di essere al posto giusto, al momento giusto. Siamo stati chiamati in sei per entrare in campo e svolgere un semplice compito: posizionare le piramidi segna corsie. Fin qua non vedevo nulla di difficile fino a quando abbiamo capito che dovevamo entrare in campo per la finale dei 100 metri! Si quella di Bolt & Co, la gara per cui il mondo si da appuntamento ogni quattro anni per poco meno di dieci secondi al cardiopalma.
Allo sparo della finale dei 400m entriamo in campo in fila indiana per recarci alla partenza dei 100m. Siamo in sei: io, Vivi dalla Germania, John dal Belgio, Dean dal Canada, Carolina dal Brasile e Edin dalla Bulgaria. Nemmeno il tempo di fare pochi passi e assistiamo all'impresa del sudafricano Van Niekerk che decide bene di corre il giro di pista più veloce della storia e polverizzare il record del mondo. Nel mentre dalla pedana del triplo i tifosi colombiani colonizzano la tribuna accompagnando all'oro Caterine Ibarguen (15.17m).
Arrivati alla partenza, posizioniamo le piramidi numerate dalla 2 alla 9. Ho preso la piramide della corsia sei, ma non sapevo sarebbe stata quella di Usain. Una volta fatto ciò ci sediamo accanto alla partenza: siamo a circa dieci metri dai blocchi, non di più. La presentazione degli atleti, il boato dei 60 e più mila spettatori e poi cala il silenzio. Lo sparo e si accendono le danze rapide e potenti degli uomini più veloci della Terra. Uno però tra loro è velocissimo e decide così di vincere il terzo oro consecutivo ad un Olimpiade: Usain Bolt. Il resto non conta. Questa volta il jamaicano è passato anche davanti a noi volontari a circa due, forse tre metri di distanza.
Un brivido infinito.